Pagina (805/963)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      XLVII. La pubblicazione dei codici fu seguita da importanti cangiamenti. Riordinando i tribunali, molti giudici furon privati senza palesarne il motivo, e quel silenzio e la intemerata vita della più parte di loro fece credere che ne fosse causa la malnata nemicizia de' ministri e del re per gli uomini e le cose del decennio. Il pubblico parteggiò per gli sventurati, che, imprendendo liberali professioni, incontrarono fortuna e favore. I re non veggono i cangiati costumi, e che la condanna dei governi assoluti è commendazione all'universale, l'aura è condanna; cosicché, distrutto il tesoro delle opinioni, non altro premio dar possono che di materiale godimento, le ricchezze, e ne deriva che i loro seguaci sono pochi, schivi di onore, empi nelle fortune, vili a' pericoli.
      De' magistrati mantenuti fu pur trista la sorte. Legge di Giuseppe li dichiarava stabili; ma decreto di Gioacchino, del 1812, sospendendo per tre anni la stabilità, prolungava il cimento sino all'anno 15, allorché, per vicende politiche di quell'anno e per nuovo decreto del nuovo re, fu allungata la incertezza sino alla pubblicazione de' codici borboniani; e que' codici promulgati, e scelti a modo i giudici, non cessava l'esperimento per altri tre anni. Si voleva tenerli sempre a dipendenza, per lo che gli onesti si sdegnavano, tutti temevano. Né basta; era spiato ogni giudice, il voto di ognuno in ogni causa rivelato al Governo, e spesso ad arbitrio del ministro erano i giudici puniti con rimproveri, minacce, congedi, lontane traslocazioni. Mancavano alla magistratura le due più pregiate condizioni: stabilità, indipendenza; e di là uomini di loro natura cultori delle arti oneste e amanti di quiete, bramavano ancor essi moti e novità di Stato.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





Giuseppe Gioacchino Governo Stato