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      Perciò i moti crebbero nel giorno 6; e tanto più che ne divenne capo il generale Pepe in mano al quale aveva De Concilj deposto il comando supremo, così di grado come in mano a lui lo depose Morelli. Le quali spontanee sommissioni erano tenute modestie di civil popolo ed ammirate dal mondo, benché fossero necessarie condizioni di troppo facile mutamento, che, non costando né fatiche, né rischi, né tempo, non avendo vittime, non eroi, era costretto di rispettare l'autorità dell'antico.
      Col cadere del giorno aumentarono le grida nella città, gli spaventi nella reggia, tanto che il Vicario adunò a consesso (così prestamente che la chiamata diceva: "nello istante comunque vestito") pochi generali, alcuni antichi consiglieri di Stato, i ministri nuovi, e lor disse: - Il re e noi, tutti della stessa patria, salviamo, se bastano le forze umane, la madre comune dal presente pericolo. Sino a che la Costituzione chiedevasi da pochi arditi mossi a tumulto, apparendo pensiero o pretesto di setta, il re dubitava di concederla. Egli poteva colle armi espugnar Monteforte, vincere e punire i costituzionali - così per la prima volta si dinotavano quei medesimi che insino allora nei consessi regi furono chiamati ribelli; - ma nol volle perché abborriva il sangue civile, e voleva dare alle opinioni tempo e libertà di manifestarsi, onde conoscere le vere brame, il vero bisogno politico del suo popolo. E però il ritardo, che si credeva ripugnanza, era studio di re saggio e benigno. E difatti, conoscendo appena il voto di tutti, ha promesso di sodisfarlo; ha levato i campi e inviato i soldati ai quartieri come nei tempi di pace; il cammino da Monteforte alla reggia è aperto; la Casa intera e quindi la dinastia dei Borboni è in mano a' popoli sommossi, e non fugge e non teme.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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