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      E tanto poté quel giudizio, che il conte Zurlo, persecutore acerbissimo dei carbonari nel regno di Gioacchino, fu dai carbonari di Monteforte scelto ministro e commendato al re. Le nuove che di ora in ora giungevano dalle province, sempre più dimostravano l'unità di quell'opera: ogni città, ogni terra, colle stesse voci, cogli stessi modi civili, erari levata a tumulto; tutto il regno stava in armi ed in moto; ma poiché unica la volontà, unico il cammino, era immensa l'azione, nullo il disordine. Della quale uniformità fu cagione l'universale antico desiderio dei cittadini; fu mezzo operoso la Carboneria, società vasta di possidenti, vaga di meglio e di quiete; fu aiuto la oziosa timidezza del Governo. Le prime mosse erano dai carbonari e dal pubblico aspettate, ma non disposte; la rivoluzione, quasi ad un punto, invase il regno per celere progresso, non per unico scoppio. Tanta civiltà fu nuova nei politici rivolgimenti; ed ora che ne vedemmo il fine, debbe attristarci la condizione della presente società, destinata a soffrire mal gradito governo, o a disordinarsi per sanguinose rivoluzioni, o (giacché i mutamenti civilmente fatti non durano) a peggiorare sotto il ritornato dispotismo.
      Il general Pepe accoglieva nei campi di Avellino e Salerno milizie, settari, liberali delle vicine province; egli, non autore della rivoluzione, voleva ingrandirla per carpirne il frutto e la fama. E poi che radunò tanta gente, immaginò un trionfo. Scrisse lettere al Vicario del regno, non preghevoli, non chiedenti, annunziatrici che in un dei prossimi giorni avrebbe fatto ingresso nella città colle sue schiere militari e civiche, numerosissime, per argomento di universale assenso al mutato Governo, e per maraviglia e terrore a coloro che pensassero di contrastarlo.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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