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      VIII. A' dì 8 le genti costituzionali attendarono presso alla città nel campo di Marte. La disciplina ab antico e per cento errori non ben salda nell'esercito cadde appieno dopo la comunanza di soldati colpevoli e settari licenziosi; erano quindi gli ordini confusi, la voce dei capi non intesa, le pene impossibili; gli stessi Pepe, De Concilj, Menichini, tra loro discordi, non obbediti, non obbedienti. Non vedevi in quella moltitudine alcun uomo che meritasse il primato, o che tollerasse di essere secondo; mancavano la modestia e la ben fondata ambizione, perciò i mezzi all'impero ed all'obbedienza. Così nel campo. Nella città, sazio e lasso il tripudio, si alzarono i sospetti: diffidavasi dell'antica Polizia, altra ne fu scelta; si temé dei comandanti dei forti, e furono cambiati; sospettavasi che il danaro pubblico fusse involato, ebbero i settari la custodia del Banco; si disse che il re fuggiva, furono sguarnite le navi, guardato il porto. Era la stessa Carboneria, numerosa, operosissima, dì e notte armata, che bisbigliava quelle voci, le volgeva in sospetti, provvedeva ai rimedi. La quiete pubblica serbavasi sotto apparenze terribili, perché un popolo in armi nella pace mostra la sovversione degli ordini sociali. Per inalzare un potere nuovo, al quale il nuovo stato ubbidisse a simiglianza delle cose di Spagna, fu instituita una chiamata "Giunta di governo", che, insieme al Vicario, imperando e reggendo, governasse sino alla convocazione del Parlamento. La componevano quindici membri, proposti nel campo, eletti dal principe, tutti per uso esperti a tenere il freno dei popoli, amanti di monarchia, onesti, onorati, nessuno di Monteforte, nessuno carbonaro. Delle quali maraviglie ho spiegato altrove le cagioni.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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