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      Egli opinò di non reprimere la Carboneria, ma spiarne le pratiche, dirigerne le voglie e l'opera; e soggiungendo che d'assai tempo egli usava quel modo, discorrendo i casi e i successi, pregando a non recidere o intricare le bene ordinate fila, prometteva piena e vicina tranquillità. Essendo fra i pregi suoi parlar facile e scorto, mascherò l'ambizione di reggere la parte più potente dello Stato, così che gli astanti si arresero al suo voto, e quello oscuro artifizio di polizia si slargò in sistema di governo. Uomini astuti e loquaci, abusando la ignoranza delle moltitudini, professando sfrenata libertà, fingendo sospetti contro il re, il Vicario, i capi del Governo, divennero primi della Carboneria, motori e regolatori delle sue opere. La qual arte, alle prime apportatrice benefica di quiete, col mutare dei tempi e il dechinar delle cose costituzionali, tradì lo Stato e fu principal cagione di pubblico disastro.
      XVI. La rivoluzione in Sicilia erasi distesa dalla città di Palermo al vallo dello stesso nome, ed indi al contiguo di Girgenti. Là "vallo" vuol dir provincia, e vien da valle, che essendo tre principali, dividono l'isola in tre gran parti, e però in antico erano tre le province, oggi divise in sette, che pur chiamansi "valli". I due valli ribelli con inviti e minacce concitavano gli altri cinque, che rispondevano da nemici coll'armi; avvegnaché, ridestato l'antico livore fra le siciliane città, facendosi altiera Siracusa per le sue memorie, Messina per le sue ricchezze, Palermo perché regina dell'isola, si combattevano i concittadini, le famiglie, i congiunti in guerra, non che civile, domestica. Quei soli due valli erano contrari al Governo di Napoli; gli altri cinque ubbidienti.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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