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      La quale sentenza di non dubbia rovina i caldi settatori de' rivolgimenti contrastano con fatti di antiche genti, e co' moderni prodigi della Grecia; senz'avvertire che le virtù delle barbarie sono impossibili alla civiltà, e che nelle nostre guerre gli eserciti ed i popoli non hanno le condizioni di Sagunto, di Alessia, di Scio, di Messolungi, ossia le ultime necessità, feroci, orrende, ma feconde di quel maggior valore che nasce nelle disperazioni.
      Il giudizio del volgo sulle cagioni del caduto Governo era più stretto e maligno. Non altro che tradimenti: traditori i generali, i ministri, il Parlamento: nulla incusavano il re, poco il Vicario. Secondavano quelle voci, per nascondere la turpitudine de' propri falli, le numerose congreghe di settari perfidi o vili, e di soldati infami della fuga, e di liberali e novatori codardi, e di timidi deputati, e d'impiegati bassi e servili. Tal che non rimase intatto alcun nome, già chiaro per virtù e servigi: e la ingiuria durerà ne' discorsi della plebe e de' tristi, come nella credenza di chi presta fede a quelle genti, sino a che, fatto libero il dire, la narratrice delle umane cose avrà rilevato de' veri fatti le cause vere.
      II. E poi che furono scoperte o sospettate le cagioni, si misurò la vastità delle rovine. Ne' nove mesi di quel reggimento i disegni del Ministero, l'ingegno del Parlamento, il senno del Consiglio di Stato, tutti i pregi del Governo restavano inosservati, perché coperti dal rumore e dalle sollecitudini delle interne discordanze e della guerra. Ma dipoi, nel silenzio della tirannide, si andavano lamentando le buone leggi quasi ad un punto fatte e distrutte, e la sperata nazionale felicità appena tentata ed oppressa.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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