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      Dimostrato il bisogno della riforma, ne provò la giustizia; perciocché i magistrati erano tuttora amovibili, a piacimento del re; difetto dei precedenti anni, come altrove ho detto, vôlto ad utilità del presente. Quindi intese a riformare quella parte della Costituzione che dava al Consiglio di Stato la facoltà di nominare i magistrati; egli dimandava che l'avesse il ministro, lasciando al Consiglio l'approvazione o il rifiuto de' proposti. E benché parlasse a suo pro, il chiaro dire, il buon volere, la verità, la probità dell'oratore, vinsero il sospetto e la invidia. Poscia per nominare i magistrati novelli o promuovere i nominati segnò modi giusti, liberi e tanto certi quanto è concesso agli umani giudizi. E lode anche maggiore a quel ministro diede la proposizione dei giuri: voto antico e deluso de' padri nostri e di noi. Rammentò i dubbi generali, e i particolari al regno delle Due Sicilie; abbatté gli uni e gli altri. Proponeva i giuri per i soli misfatti, riserbando a più espediti giudizi le colpe minori, e provvedendo che da questa eccezione non venisse danno o pericolo agli accusati. Tolse le idee delle leggi francesi e inglesi sopra i giuri; più si giovò delle americane. Avvantaggiò sopra tutte, sempre a pro degli accusati; parzialità, forse offensiva della giustizia, ma buona ad esempio di carità cittadina, e profittevole a' costumi più che gli atti inflessibili del rigore. Dopo il conte Ricciardi fu ministro il magistrato Troyse, che, sebben grave di età e per lunga pezza impiegato sotto monarchia dispotica, ricalcò le tracce libere del precessore, e le avanzò. Cosi mostrando che nei suoi primi anni avea seguìto, dolente, gli errori di assoluto governo.
      Il ministero dell'Interno si affaticò a conciliare le passate istituzioni amministrative colle presenti del nuovo Statuto.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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