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      V. Il re, fermate le massime d'impero, cominciò a governare per ministri. Provvide alla sicurezza del regnare, disarmando i cittadini, gastigando di morte i portatori di qualunque arme, sciogliendo le milizie civili, vietando le riunioni, per fino le più legittime e laudevoli, università, scuole, licei. Per nuova legge rivocò le leggi dell'odioso tempo costituzionale; ma più sollecita della suprema potestà era stata la timidezza dei soggetti, ai quali non bisognò il comando per distruggere la libertà di nove mesi, e tornar vogliosi alle note e lunghe pratiche della servitù.
      S'intesero condannati a morte, senza giudizio, per solo bando di Polizia, i generali Rossaroll e Pepe, e promessa ricca mercede per l'arresto de' più conti rivoluzionari di Monteforte. Le quali condanne o proscrizioni rammentavano tempi ferocissimi. Si composero de' più caldi partigiani della tirannide molte giunte, chiamate "di scrutinio", perché destinate a scrutinare la vita di tutti gli uffiziali dello Stato e de' più alti e più noti cittadini: giudizi e giudici spaventevoli.
      E non vi era giorno che non si udisse la campana della giustizia ed il pubblico invito alle sacre preghiere, segni ed offici mesti e pietosi usati tra noi quando un misero è menato a morte per condanna: erano giudizi delle corti marziali per i portatori di alcun'arme, o i detentori di qualche segno di sette. In quel mezzo arrivò in città ministro di Polizia il principe di Canosa, che volle al pubblico annunciarsi, prima che per editti o per fama, con spettacolo atroce, ormai scordato dal popolo, ignoto a' più giovani, la "frusta". A mezzo il giorno, nella popolosa via di Toledo, fu visto, in militare ordinanza, numeroso stuolo di soldati tedeschi, poi l'assistente del carnefice, che ad intervalli dava fiato alla tromba, e poco indietro altri tedeschi ed alcuni sgherri di Polizia, i quali accerchiavano un uomo, dalla cintura in basso coperto di ruvida tela, con piedi scalzi, dalla cintura in sopra nudo, con i polsi strettamente legati, portando in mano ed appesi al collo tutti i fregi settari, ed in capo un berretto di tre colori, collo scritto a grandi note: "carbonaro". Quel misero, accavalcato sopra di un asino, aveva dietro il carnefice, che ad ogni picchio di tromba con sferza di funi e chiodi gli flagellava le spalle; così che il sangue aveva mutato colore alle carni, ed il volto, smorto e chino al petto, dimostrava il martirio.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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