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      Seguiva plebe spietata, ma taciturna; gli onesti fuggivano, nascondendo, per prudenza, la pietà e l'orrore. Chi dimandò i particolari di quel supplicio udì che il flagellato era un settario, gentiluomo di provincia (e gentiluomo appariva al volto ed alla persona), che, dopo la frusta, penerebbe in galera quindici anni, non per giudizio di magistrato, ma per sentenza del ministro della Polizia, principe di Canosa, or ora giunto in città.
      Ne' seguenti due giorni si viddero altre due "fruste", terribili come la prima, se non che mancavano i soldati d'Austria, non so se per ribrezzo o vergogna. Furono le ultime in città; ma in Salerno l'intendente Guarini, che volea somigliare al Canosa, fece frustare un sarto, per fama settario e liberale, attempato, padre di molti figli, reo questa volta di mancato rispetto all'intendente, restando seduto a' suoi lavori mentre quel magistrato, in abito di cerimonia e con pompa di sgherri e clienti, gli passava dinanzi. Nella provincia di Avellino e nella Puglia erano severissime le corti marziali; nella Basilicata la Polizia, più che altrove, operosa e tirannica; nelle Calabrie abbondavano i delitti di parte e le vendette; negli Abruzzi e in Terra di Lavoro i comandanti tedeschi, sospettosi e di mala gente accerchiati, imprigionarono tanti cittadini, che bisognò forma più breve di processo e particolar magistrato a giudicarli. Aveva ogni provincia il suo flagello.
      Ma si percuotevano uomini, benché famosi di carboneria, bassi ed oscuri nel mondo: se non che subito il circolo degli afflitti si slargò. Perciocché, visto lo stato della città, la divisione dei cittadini, la viltà, la paura, la pazienza del popolo, Canosa scrisse al re che potea punire senza pericolo; ed avuta risposta, punisse, fece chiudere in carcere il general Colletta, il general Pedrinelli, il deputato Borrelli, al quale i servigi di nove mesi non eran bastanti a placare l'odio antico del re.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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