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      Dipoi, rassicurati, si affollavano ne' cantoni a legger l'editto, ritornavano a speranza di miglior governo; e taluno, sotto lo scritto, fra mille spettatori, baciò la terra, e ad alta voce ringraziò Iddio di quella morte come termine di universali sciagure. Ma subito punito, e punite altre allegrezze, e pubblicata dal nuovo re la vera o finta mestizia, il popolo si fe' cauto e nella reggia si composero i volti e i discorsi a lutto. Era verace in alcuni, come nel principe di Ruoti, vecchio amico del re, capitano delle sue guardie, nelle vicissitudini di regno consigliere di pace o taciturno; il quale, nel deporre a' piedi del nuovo re le insegne del comando, fu soffogato dal pianto.
      Il testamento del defunto re, olografo, fatto nell'anno 1822, accresciuto due mesi avanti al morire, confermava le successioni al trono stabilite da Carlo III suo genitore; chiamava erede al regno il duca di Calabria, Francesco; accresceva all'altro figlio la ricchezza, i doni alla moglie Floridia; gratificava i famigliari; concedeva somme grandi alla Chiesa per celebrar messe, pregava il figlio a mantenere le limosine che faceva in vita. E perciò fu visto che in carità dispensava ventiquattromila ducati all'anno.
      I funerali, gli stessi de' re di Spagna rammentati nell'ottavo libro di questa Istoria, furon sì lunghi che Ferdinando, trapassato il dì 4, scese alla tomba de' re di Napoli, nella chiesa di Santa Chiara, il dì 14. Scomparve affatto dalla scena del mondo il giorno stesso che quattro anni innanzi nel congresso di Laybach, compiendo lo spergiuro, preparò guerra al suo popolo.
      Visse anni settantasei, regnò sessantacinque: rara felicità di principe, che nella sua vita può governar tre vite del suo popolo.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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