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      – Smetti di ridere! – disse Geppetto impermalito; ma fu come dire al muro.
      – Smetti di ridere, ti ripeto! – urlò con voce minacciosa.
      Allora la bocca smesse di ridere, ma cacciò fuori tutta la lingua.
      Geppetto, per non guastare i fatti suoi, finse di non avvedersene, e continuò a lavorare.
      Dopo la bocca, gli fece il mento, poi il collo, le spalle, lo stomaco, le braccia e le mani.
      Appena finite le mani, Geppetto senti portarsi via la parrucca dal capo. Si voltò in su, e che cosa vide? Vide la sua parrucca gialla in mano del burattino.
      – Pinocchio!... rendimi subito la mia parrucca!
      E Pinocchio, invece di rendergli la parrucca, se la messe in capo per sé, rimanendovi sotto mezzo affogato.
      A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto si fece triste e melanconico, come non era stato mai in vita sua, e voltandosi verso Pinocchio, gli disse:
      – Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male!
      E si rasciugò una lacrima.
      Restavano sempre da fare le gambe e i piedi.
      Quando Geppetto ebbe finito di fargli i piedi, sentì arrivarsi un calcio sulla punta del naso.
      – Me lo merito! – disse allora fra sé. – Dovevo pensarci prima! Ormai è tardi!
      Poi prese il burattino sotto le braccia e lo posò in terra, sul pavimento della stanza, per farlo camminare.
      Pinocchio aveva le gambe aggranchite e non sapeva muoversi, e Geppetto lo conduceva per la mano per insegnargli a mettere un passo dietro l’altro.
      Quando le gambe gli si furono sgranchite, Pinocchio cominciò a camminare da sé e a correre per la stanza; finché, infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dette a scappare.


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Pinocchio
di Carlo Collodi
pagine 153

   





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