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      Spiccare un salto e gettarvisi sopra, fu un punto solo. Era un uovo davvero.
      La gioia del burattino è impossibile descriverla: bisogna sapersela figurare. Credendo quasi che fosse un sogno, si rigirava quest’uovo fra le mani, e lo toccava e lo baciava, e baciandolo diceva:
      – E ora come dovrò cuocerlo? Ne farò una frittata?... No, è meglio cuocerlo nel piatto!... O non sarebbe più saporito se lo friggessi in padella? O se invece lo cuocessi a uso uovo da bere? No, la più lesta di tutte è di cuocerlo nel piatto o nel tegamino: ho troppa voglia di mangiarmelo!
      Detto fatto, pose un tegamino sopra un caldano pieno di brace accesa: messe nel tegamino, invece d’olio o di burro, un po’ d’acqua: e quando l’acqua principiò a fumare, tac!... spezzò il guscio dell’uovo, e fece l’atto di scodellarvelo dentro.
      Ma invece della chiara e del torlo, scappò fuori un pulcino tutto allegro e complimentoso, il quale, facendo una bella riverenza, disse:
      – Mille grazie, signor Pinocchio, d’avermi risparmiata la fatica di rompere il guscio! Arrivedella, stia bene e tanti saluti a casa!
      Ciò detto distese le ali e, infilata la finestra che era aperta, se ne volò via a perdita d’occhio.
      Il povero burattino rimase lì, come incantato, cogli occhi fissi, colla bocca aperta e coi gusci dell’uovo in mano. Riavutosi, peraltro, dal primo sbigottimento, cominciò a piangere, a strillare, a battere i piedi in terra, per la disperazione, e piangendo diceva:
      – Eppure il Grillo-parlante aveva ragione! Se non fossi scappato di casa e se il mio babbo fosse qui, ora non mi troverei a morire di fame!


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Pinocchio
di Carlo Collodi
pagine 153

   





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