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      In men che non si dice, il pino cominciò a bruciare e a divampare, come una candela agitata dal vento. Pinocchio, vedendo che le fiamme salivano sempre più, e non volendo far la fine del piccione arrosto, spiccò un bel salto di vetta all’albero, e via a correre daccapo attraverso ai campi e ai vigneti. E gli assassini dietro, sempre dietro, senza stancarsi mai.
      Intanto cominciava a baluginare il giorno e si rincorrevano sempre; quand’ecco che Pinocchio si trovò sbarrato il passo da un fosso largo e profondissimo, tutto pieno di acquaccia sudicia, color del caffè e latte. Che fare? «Una, due, tre!» gridò il burattino, e slanciandosi con una gran rincorsa, saltò dall’altra parte. E gli assassini saltarono anche loro, ma non avendo preso bene la misura, patatunfete!... cascarono giù nel bel mezzo del fosso. Pinocchio che sentì il tonfo e gli schizzi dell’acqua, urlò ridendo e seguitando a correre:
      – Buon bagno, signori assassini.
      E già si figurava che fossero bell’e affogati, quando invece, voltandosi a guardare, si accòrse che gli correvano dietro tutti e due, sempre imbacuccati nei loro sacchi e grondanti acqua come due panieri sfondati.
     
     
      XVGli assassini inseguono Pinocchio; e, dopo averlo raggiunto, lo impiccano a un ramo della Quercia grande.
     
      Allora il burattino, perdutosi d’animo, fu proprio sul punto di gettarsi in terra e di darsi per vinto, quando nel girare gli occhi all’intorno vide fra mezzo al verde cupo degli alberi biancheggiare in lontananza una casina candida come la neve.


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Pinocchio
di Carlo Collodi
pagine 153

   





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