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      Il Colombo prese l’aire e in pochi minuti arrivò col volo tanto in alto, che toccava quasi le nuvole. Giunto a quell’altezza straordinaria, il burattino ebbe la curiosità di voltarsi in giù a guardare: e fu preso da tanta paura e da tali giracapi che, per evitare il pericolo di venir disotto, si avviticchiò colle braccia, stretto stretto, al collo della sua piumata cavalcatura.
      Volarono tutto il giorno. Sul far della sera, il Colombo disse:
      – Ho una gran sete!
      – E io una gran fame! – soggiunse Pinocchio.
      – Fermiamoci a questa colombaia pochi minuti; e dopo ci rimetteremo in viaggio, per essere domattina all’alba sulla spiaggia del mare.
      Entrarono in una colombaia deserta, dove c’era soltanto una catinella piena d’acqua e un cestino ricolmo di veccie.
      Il burattino, in tempo di vita sua, non aveva mai potuto patire le veccie: a sentir lui, gli facevano nausea, gli rivoltavano lo stomaco: ma quella sera ne mangiò a strippapelle, e quando l’ebbe quasi finite, si voltò al Colombo e gli disse:
      – Non avrei mai creduto che le veccie fossero così buone!
      – Bisogna persuadersi, ragazzo mio, – replicò il Colombo, – che quando la fame dice davvero e non c’è altro da mangiare, anche le veccie diventano squisite! La fame non ha capricci né ghiottonerie!
      Fatto alla svelta un piccolo spuntino, si riposero in viaggio, e via! La mattina dopo arrivarono sulla spiaggia del mare.
      Il Colombo posò a terra Pinocchio, e non volendo nemmeno la seccatura di sentirsi ringraziare per aver fatto una buona azione, riprese subito il volo e sparì.


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Pinocchio
di Carlo Collodi
pagine 153

   





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