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      – E se vengo con voi, che cosa dirà la mia buona Fata? – disse il burattino che cominciava a intenerirsi e a ciurlar nel manico.
      – Non ti fasciare il capo con tante melanconie. Pensa che andiamo in un paese dove saremo padroni di fare il chiasso dalla mattina alla sera!
      Pinocchio non rispose: ma fece un sospiro: poi fece un altro sospiro: poi un terzo sospiro; finalmente disse:
      – Fatemi un po’ di posto: voglio venire anch’io!...
      – I posti son tutti pieni, – replicò l’omino, – ma per mostrarti quanto sei gradito, posso cederti il mio posto a cassetta...
      – E voi?...
      – E io farò la strada a piedi.
      – No, davvero, che non lo permetto. Preferisco piuttosto di salire in groppa a qualcuno di questi ciuchini! – gridò Pinocchio.
      Detto fatto, si avvicinò al ciuchino manritto della prima pariglia e fece l’atto di volerlo cavalcare: ma la bestiola, voltandosi a secco, gli dette una gran musata nello stomaco e lo gettò a gambe all’aria.
      Figuratevi la risatona impertinente e sgangherata di tutti quei ragazzi presenti alla scena.
      Ma l’omino non rise. Si accostò pieno di amorevolezza al ciuchino ribelle, e, facendo finta di dargli un bacio, gli staccò con un morso la metà dell’orecchio destro.
      Intanto Pinocchio, rizzatosi da terra tutto infuriato, schizzò con un salto sulla groppa di quel povero animale. E il salto fu così bello, che i ragazzi, smesso di ridere, cominciarono a urlare: «Viva Pinocchio!» e a fare una smanacciata di applausi, che non finivano più.
      Quand’ecco che all’improvviso il ciuchino alzò tutt’e due le gambe di dietro, e dando una fortissima sgropponata, scaraventò il povero burattino in mezzo alla strada sopra un monte di ghiaia.


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Pinocchio
di Carlo Collodi
pagine 153

   





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