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      – A quest’ora il mio povero ciuchino zoppo deve essere bell’affogato. Ritiriamolo dunque su, e facciamo con la sua pelle questo bel tamburo.
      E cominciò a tirare la fune, con la quale lo aveva legato per una gamba: e tira, tira, tira, alla fine vide apparire a fior d’acqua... indovinate? Invece di un ciuchino morto, vide apparire a fior d’acqua un burattino vivo che scodinzolava come un’anguilla.
      Vedendo quel burattino di legno, il pover’uomo credé di sognare e rimase lì intontito, a bocca aperta e con gli occhi fuori della testa.
      Riavutosi un poco dal suo primo stupore, disse piangendo e balbettando:
      – E il ciuchino che ho gettato in mare dov’è?
      – Quel ciuchino son io! – rispose il burattino, ridendo.
      – Tu?
      – Io.
      – Ah! mariuolo! Pretenderesti forse burlarti di me?
      – Burlarmi di voi? Tutt’altro, caro padrone: io vi parlo sul serio.
      – Ma come mai tu, che poco fa eri un ciuchino, ora, stando nell’acqua sei diventato un burattino di legno?...
      – Sarà effetto dell’acqua del mare. Il mare ne fa di questi scherzi.
      – Bada, burattino, bada!... Non credere di divertirti alle mie spalle. Guai a te, se mi scappa la pazienza.
      – Ebbene, padrone: volete sapere tutta la vera storia? Scioglietemi questa gamba e io ve la racconterò.
      Quel buon pasticcione del compratore, curioso di conoscere la vera storia, gli sciolse subito il nodo della fune, che lo teneva legato: e allora Pinocchio, trovandosi libero come un uccello nell’aria prese a dirgli così:
      – Sappiate dunque che io ero un burattino di legno come sono oggi: ma mi trovavo a tocco e non tocco di diventare un ragazzo, come in questo mondo ce n’è tanti: se non che per la mia poca voglia di studiare e per dar retta ai cattivi compagni, scappai di casa.


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Pinocchio
di Carlo Collodi
pagine 153

   





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