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      Per mia gran fortuna, quel bastimento era carico di carne conservata in cassette di stagno, di biscotto, ossia di pane abbrostolito, di bottiglie di vino, d’uva secca, di cacio, di caffè, di zucchero, di candele steariche e di scatole di fiammiferi di cera. Con tutta questa grazia di Dio ho potuto campare due anni: ma oggi sono agli ultimi sgoccioli: oggi nella dispensa non c’è più nulla, e questa candela, che vedi accesa, è l’ultima candela che mi sia rimasta...
      – E dopo?...
      – E dopo, caro mio, rimarremo tutt’e due al buio.
      – Allora, babbino mio, – disse Pinocchio, – non c’è tempo da perdere. Bisogna pensar subito a fuggire...
      – A fuggire?... e come?
      – Scappando dalla bocca del Pesce-cane e gettandosi a nuoto in mare.
      – Tu parli bene: ma io, caro Pinocchio, non so nuotare.
      – E che importa?... Voi mi monterete a cavalluccio sulle spalle e io, che sono un buon nuotatore, vi porterò sano e salvo fino alla spiaggia.
      – Illusioni, ragazzo mio! – replicò Geppetto, scotendo il capo e sorridendo malinconicamente. – Ti par egli possibile che un burattino, alto appena un metro, come sei tu, possa aver tanta forza da portarmi a nuoto sulle spalle?
      – Provatevi e vedrete! A ogni modo, se sarà scritto in cielo che dobbiamo morire, avremo almeno la gran consolazione di morire abbracciati insieme.
      E senza dir altro, Pinocchio prese in mano la candela, e andando avanti per far lume, disse al suo babbo:
      – Venite dietro a me, e non abbiate paura. E così camminarono un bel pezzo, e traversarono tutto il corpo e tutto lo stomaco del Pesce-cane.


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Pinocchio
di Carlo Collodi
pagine 153

   





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