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      – Eccomi qui, che guardo da tutte le parti, e non vedo altro che cielo e mare.
      – Ma io vedo anche la spiaggia, – disse il burattino. – Per vostra regola io sono come i gatti: ci vedo meglio di notte che di giorno.
      Il povero Pinocchio faceva finta di essere di buonumore: ma invece... Invece cominciava a scoraggiarsi: le forze gli scemavano, il suo respiro diventava grosso e affannoso... insomma non ne poteva più, la spiaggia era sempre lontana.
      Nuotò finché ebbe fiato: poi si voltò col capo verso Geppetto, e disse con parole interrotte:
      – Babbo mio, aiutatemi... perché io muoio!
      E il padre e il figliuolo erano oramai sul punto di affogare, quando udirono una voce di chitarra scordata che disse:
      – Chi è che muore?
      – Sono io e il mio povero babbo!...
      – Questa voce la riconosco! Tu sei Pinocchio!...
      – Preciso: e tu?
      – Io sono il Tonno, il tuo compagno di prigionia in corpo al Pesce-cane.
      – E come hai fatto a scappare?
      – Ho imitato il tuo esempio. Tu sei quello che mi hai insegnato la strada, e dopo te, sono fuggito anch’io.
      – Tonno mio, tu càpiti proprio a tempo! Ti prego per l’amor che porti ai Tonnini tuoi figliuoli: aiutaci, o siamo perduti.
      – Volentieri e con tutto il cuore. Attaccatevi tutt’e due alla mia coda, e lasciatevi guidare. In quattro minuti vi condurrò alla riva.
      Geppetto e Pinocchio, come potete immaginarvelo accettarono subito l’invito: ma invece di attaccarsi alla coda, giudicarono più comodo di mettersi addirittura a sedere sulla groppa del Tonno.
      – Siamo troppo pesi?... – gli domandò Pinocchio.


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Pinocchio
di Carlo Collodi
pagine 153

   





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