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      Cosa ne penserebbe il povero Monsignor della Casa, la cui suscettivitā era tale, che non poteva soffrire neppure che altri tenesse in bocca lo stuzzicadenti "come l'uccello che va a fare il suo nido?"
      E, le prego, signore padrone di casa, non infilzino un interminabile rosario di piatti. Non č il numero, ma la squisitezza delle vivande, che fa il lusso ed il pregio del trattamento. Io penso ancora con raccapriccio a certi pranzi di provincia, dove ebbi il supplizio di vedermi sfilare davanti trenta, trentacinque e persino quaranta piatti. Si stava a tavola tre, quattro ore; veniva il granchio alle gambe, e si provava una smania, una frenesia di prendere un capo della tovaglia e di buttar tutto all'aria, e danzare sulle rovine per isgranchirsi.
      Durante il pranzo i discorsi debbono essere alternati in modo che ciascuno possa collocare la sua parola, e fare la sua figura. A questo deve vegliare la padrona di casa.
      E se un argomento prende il campo e minaccia di non cessare finchč se n'č visto il fondo, o se nasce una discussione, la padrona di casa deve avere abbastanza spirito per troncarli. Basterā una parola:
      Signori miei, non sanno che noi signore, della loro politica non ci divertiamo punto?...
      Badiamo che non s'avessero a sfidare in casa mia....
      Non cerchino dei ripieghi. Non gioverebbero a nulla. Una signora aveva letto in un galateo moderno pubblicato alcuni anni fa, non so che bislacca storia d'una contessa, che per far cessare una discussione politica molto animata, aveva trovato il sublime ripiego di rompere un piatto.


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La gente per bene
di Marchesa Colombi
Editore Galli
1893 pagine 196

   





Monsignor Casa