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      Non aveva fatto nulla di tanto anormale che dovesse rimproverarsi. Giovine e libero, aveva seguite le inclinazioni naturali della sua età. Ognuno al suo posto avrebbe fatto altrettanto. Ma gli doleva che le inclinazioni naturali fossero così; s'accorgeva troppo tardi che la prima strada era la buona; ed avrebbe voluto riprenderla; ma ormai non era più in tempo.
      La seconda festa di Pasqua ricevette un invito per una festa da ballo; e per abitudine vi andò. Si era fatto talmente alla vita elegante, era egli stesso così raffinato, così gentiluomo, e così uomo di mondo, che si trovava nel suo centro nelle sale sfarzose e nelle società delle belle dame, degli uomini illustri, dei diplomatici, degli artisti celebri, della nobiltà eletta. Da qualche tempo non danzava più, non giocava, non si divertiva; ma era nel suo ambiente.
      Quella sera era più triste del solito, e s'era messo a discorrere di politica con un vecchio senatore. Nel più bello d'una discussione seria sul macinato, che era allora la questione più interessante, il senatore sorrise da lontano a qualcuno, che poi s'avvicinò a salutarlo.
      «Il conte Tale; uno dei nostri futuri diplomatici...» disse il vecchio presentando a Giovanni il nuovo venuto, un giovinotto sui venticinque anni.
      Giovanni balbettò una delle solite frasi: «che era fortunato di fare quella conoscenza».
      «Ma la nostra conoscenza non comincia ora» rispose il giovinotto; «e se non mi sbaglio data per lo meno da sedici anni».
      Giovanni lo guardò attentamente, ma non lo riconobbe.


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Il tramonto d'un ideale
di Marchesa Colombi
pagine 171

   





Pasqua Giovanni