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      I mobili di velluto di lana erano scoloriti, ed andavano perdendo il pelo come teste di vecchi. Le cornici dorate erano annerite e scrostate malgrado la mussola rosa ingiallita che le ricopriva. Sugli specchi migliaia di generazioni di mosche avevano depositate tante traccie che il viso vi si rifletteva cosparso di puntolini neri come dopo una malattia di vaiuolo. Il marmo delle tavole era deturpato da scritte e figure stupide. Era una rovina, tanta rovina, che poco dopo venne rimesso a nuovo ed ampliato, per farne una sala confortable.
      Al banco stava una giovine, a cui due giovinotti maturi, tra il cittadino ed il campagnuolo, facevano dei madrigali che ella accettava come roba che le fosse legalmente dovuta. Se ne stava impettita nel busto con una vitina sottile sottile da perderne il fiato: ed il capo, ornato da una pettinatura piramidale, liscia e simmetrica da parrucchiere, troneggiava dietro due piramidi di scatole da biscottini che ingombravano i due lati del banco.
      Di fuori un organetto suonò una polka, e la giovine caffettiera, con quella mania sfrenata pel ballo che distingue le provinciali, corse a pigliare un'altra ragazza in cucina, ed uscì a danzare con lei sotto il porticato della stazione, sbirciando i suoi due galanti, e ridendo colla compagna in modo provocante ad ogni osservazione un po' temeraria che essi facevano sulla sua persona.
      Poi cominciarono a giungere alcune famiglie borghesi; le signorine camminando innanzi coi vestiti chiari, ed i cappellini più stravaganti dei figurini di moda, il babbo e la mamma pochi passi indietro.


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Il tramonto d'un ideale
di Marchesa Colombi
pagine 171