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      Invece Vincenzo, che ammirava il parente sconosciuto, per quanto c'era di meraviglioso nella sua storia di grandezza, e di miseria, e di emigrazione in paesi lontani, era anche lui in suggezione e non osava avvicinarlo. E Vicenzino, interpretando anche questo a suo modo, pensava: "Ecco, mi sfugge; suo padre gli ha proibito di parlarmi". E non ebbe neppure un momento l'idea temeraria di opporsi a quel giusto divieto. Continuò a stare in disparte, a non parlare, a non giocare con nessuno.
      Studiava; lo faceva per inclinazione, e per diventare un grand'uomo, come diceva suo padre. Aveva un ideale, un ideale serio e senza azzurro, ben differente dagli ideali fantastici dei fanciulli; un ideale prosaico da uomo venale: "Guadagnare ventimila lire".
     
     
     
      IV.
     
      Vincenzo non amava il latino. Quella lingua morta non voleva entrargli nella testa. Appena usciva di classe sentiva il bisogno di darsi movimento, di gridare, di reagire in tutti i modi a quella quiete opprimente. L'idea del cómpito lo crucciava, ed egli rimandava a più tardi l'ingrato dovere; e quando per forza ci si metteva, aveva tardato tanto che non c'era più tempo per tutto, e lasciava indietro il lavoro latino, il più lungo e difficile.
      Più volte il signor Anselmo Dogliani aveva ricevuto delle lagnanze dai maestri per la negligenza del figlio appunto nel latino, senza il quale la carriera ecclesiastica non era possibile. Egli lo aveva ammonito severamente, e lo trattava con sussiego, sebbene passasse poi le notti a vegliarlo, quando, nelle lunghe e gloriose battaglie a palle di neve coi compagni, si buscava delle tossi, che minacciavano di schiantargli il suo petto robusto.


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Senz'amore
di Marchesa Colombi
Editore Alfredo Brignola
1883 pagine 181

   





Vincenzo Vicenzino Anselmo Dogliani