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      IV.
     
      Così pensavo allora, ed ero in buona fede, lo giuro.
      Su quell'incendio passarono tre anni; e passarono le scene di gelosia, sempre più rade da parte mia, sempre più frequenti da parte di lei; e passarono i rimproveri che mi spesseggiavano sopra per ogni nonnulla.
      Dopo tre anni e qualche mese cominciai ad accorgermi che l'osservazione de' miei amici non era punto volgare, nè ingiusta. Infatti come non ne avevo compreso prima la moralità incontestabile? Come avevo potuto stringere sorridendo la mano d'un uomo che tradivo?
      Ma certo il mio cuore doveva aver ripugnato all'atto sleale. Certo doveva aver fatto pressione sulla mia coscienza per amore della donna mia; per farle il sacrificio de' miei principî... Deve essere un amore ben grande quello che giunge fino ad immolare le cose più sacre, fin l'onore. E dopo tutto ciò ella spingeva l'ingratitudine fino a farmi dei rimproveri... Oh! le donne! E codesto esclamavo inorridito da tanto egoismo.
     
     
     
      V.
     
      Stavo sotto l'incubo di quel legittimo orrore. Ed intanto la mia delicatezza cominciava a trovare ogni giorno più penosa l'idea di tradire un amico ne' suoi più cari affetti.
      Una sera andai al teatro Carcano. Vi cantava una artista esordiente, giovane, simpatica.
      La sera seguente il Carcano era chiuso. Il direttore dell'orchestra mi offerse di presentarmi a lei. Ero così triste, che proprio non desideravo far conoscenze; ma per compiacere il mio vecchio amico, andai con lui dall'artista all'Albergo Milano.
      Trovai che la giovane signora conversava con un giornalista mio amico.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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