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      Certo fu lei a mettere il discorso su tale argomento. Le donne non sanno parlar d'altro.
      Per pura cortesia io dovetti secondarla, ed in breve c'ingolfammo in uno di quei laberinti di ragionamenti da cui non c'è filo d'Arianna che ci tragga.
      Mi sarebbe impossibile dire da che punto partimmo, e dove ci condusse la discussione, sebbene ne abbia in mente molte parole e persino il suono della voce di Fulvia nell'atto che le pronunciava; ma l'ordine mi sfuggì; forse perchè il discorso non ne aveva.
      Si parlava d'incostanza. Fulvia mi disse:
      - Convenga che noi abbiamo creato questa parola, e l'abbiamo schierata tra le colpe nel codice dell'amore, mentre non è che un fatto naturale. Forse l'amore è un episodio tempestoso; non altro. Due persone s'incontrano; dopo un tempo più o meno lungo s'accorgono d'amarsi; se lo dicono; sono felici di quel sentimento: ma quello stato d'esaltazione non dura, e, cessata l'esaltazione, è cessato l'amore. La costanza, che si traduce in quell'affetto lemme lemme, da cui sono avvinti gli sposi, è un portato della civiltà, e ne abbiamo bisogno per la tutela della prole. Ma in natura non esiste. Ed infatti vediamo che tutti gli animali si amano per un dato periodo di tempo poi diventano stranieri gli uni agli altri.
      Disse tutto ciò con molta serietà; ma quando io volli rispondere per combattere codeste idee, esclamò:
      - Mio Dio, come siamo ridicoli a voler ragionare sul sentimento, e definirlo! Ognuno lo prova in un modo speciale ed agisce in conseguenza.
      E rise del suo discorso, e sopratutto non poteva perdonarsi d'aver detto tutela della prole, e d'aver paragonato l'amore degli uomini, che per lei era tutto idealismo, a quello degli animali inferiori.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





Arianna Fulvia Dio