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      Ma poichè non produceva nessun effetto, era necessario ch'io mi facessi amare abbastanza, perchè un'altra volta avesse a desiderarmi. Questa argomentazione naturalmente non la formulai nè colle parole, nè col pensiero; ma mi sentii irresistibilmente trascinato a ravvicinarmi a Fulvia, e da quel giorno le consacrai tutte le ore, tutt'i momenti che la mia professione mi lasciava liberi.
      E rivissero in me i poetici entusiasmi della prima giovinezza, e le timide peritanze e gl'impeti inconsiderati ed i terrori puerili, e l'eterno dubbio e l'eterna speranza.
      Con lei sciolsi il riso romoroso della fanciullezza; e mi abbandonai alle vergini emozioni dei primi affetti. Tutto il mondo era rinverdito intorno a me, ed io col mondo.
      Nè mai parola esplicita d'amore era corsa tra noi, nè mai ci eravamo trovati a lungo da soli dopo quella sera. Altri amici erano sempre con noi e tutti la corteggiavano, e parecchi nutrivano evidentemente per lei vero affetto, e speravano. Ed io li trovavo sommamente impertinenti, ed era offeso che Fulvia non se ne mostrasse oltraggiata. Ed io pure l'amavo, e speravo, e non mi credevo impertinente, nè avrei trovato ragionevole che Fulvia considerasse codesto un oltraggio.
      Tutti insieme facevamo lunghe scorribande per le nostre prosaiche campagne lombarde; e talora la mesta Vittoria era con noi; e Fulvia le cingeva la vita, e lungo i campi monotoni passeggiavano abbracciate e parevano la statua del dolore stretta a quella della gioia, il compendio della vita umana.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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