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      Gli scrissi a lungo quella notte istessa sotto l'impressione delle nuove emozioni che mi agitavano; cercai di trasfondere la mia anima nella sua, di riscaldarlo al fuoco del mio entusiasmo, della mia passionata riconoscenza.
      Passarono otto lunghi giorni; ed in ciascuno di essi speravo una lettera, e ciascuno mi recò una delusione.
      Ed intanto mi vedevo circondata da giovani vivaci, espansivi, che si disputavano come una gloria il piacere di accompagnarmi; che trascuravano i loro affari, le loro famiglie per me; che si rendevano indiscreti, importuni a forza d'assiduità.
      Mi erano tutti indifferenti. Se tutti avevano le qualità che mancavano a Welfard, nessuno aveva poi le virtù ch'egli possedeva. E tuttavia ogni giorno, dopo aver sperato invano una lettera, ero costretta a dire a me stessa: Oh perchè tutti questi esseri tanto inferiori a lui sanno amar meglio? Perchè in lui solo Dio non ha infuso il soffio della passione, che è la poesia della vita?
      Una sera, nove giorni dopo che avevo scritto a Welfard, ero pronta per andare al teatro, quando mi venne recata la sua risposta.
      Tremavo di speranza nell'aprirla. Tutte le espansioni della mia lettera mi si affacciarono al pensiero, reclamando in ricambio una parola appassionata.
      Ahi! fu ancora una delusione. La passione è muta in quell'anima; in essa la virtù, la generosità non sono uno slancio di sentimento, ma unicamente un portato della riflessione, la fredda idea del dovere.
      Vi trascrivo qui la sua lettera: giudicatene.
     
      Cara Fulvia,
     
      Mi fa molto piacere il vostro successo - del resto io non ne aveva mai dubitato; - voi farete una bella carriera; me ne congratulo sinceramente.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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