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      Dacchè lo conoscevo glielo avevo sempre veduto sul braccio, sebbene non lo calzasse mai. Max era dunque venuto. Era là accanto a me. Doveva essere nella parte della camera nascosta dalla porta. Mi pareva vederlo. Feci un po' di rumore colla chiave della mia camera, ed aspettai fingendo di non poter aprire. Ma nessun movimento si fece udire nella stanza di Max.
      - S'è alzato prestissimo per partire, ed appena giunto si sarà addormentato, dissi tra me. Conoscendo il suo carattere irrequieto, le sue abitudini turbolente, non potevo spiegare altrimenti quel silenzio nella sua camera. Lasciai il mio cuore, i miei pensieri, la mia anima nella penombra misteriosa di quella porta, ed entrai finalmente nella mia stanza.
      Non potei occuparmi di nulla. Per me aspettare è sempre stata una così grande e laboriosa occupazione, che non mi fu mai possibile di far qualche altra cosa mentre aspetto una persona o un avvenimento importante. Sedetti sulla punta d'una sedia, nell'atto precario di chi sta per slanciarsi incontro a qualcheduno, ed aspettai. Non potevo nemmeno pensar nulla. Sul camino stava un orologiaccio di bronzo dorato, tutto giallo e lucido che pungeva gli occhi; ed io seguivo affannosamente il battito del suo pendolo col pensiero, ripetendo senza posa
      verrà, non verrà; verrà, non verrà, ecc." Il pendolo diceva quelle parole ed il mio pensiero era forzato a ripeterle meccanicamente come se fosse montato col pendolo. Mezz'ora dopo stavo ancora nella stessa posizione; ma mi sarebbe stato impossibile di udire qualsiasi rumore nella stanza vicina, tanto mi fischiavano gli orecchi, e mi assordava il sussultar violento del mio cuore, ripercosso alla laringe ed alle tempia.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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