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      Ed allora pensavo seriamente a quella confessione. La dovevo io realmente? Non avevo ricusato di sposare Max per evitarla? Ed ora perchè la farei? Max non era che un amico per me.
      Sì, ma un amico che ero andata a vedere segretamente; un amico da cui aspettavo una lettera con tutta l'ansietà del mio cuore.
      Ed un istante sentivo di dovere aprir l'animo mio a Gualfardo ad ogni costo.
      Poi andavo alla finestra, guardavo un poco la gente, pensavo che, forse, neppur la metà di quelle signore che avevano marito, nutrivano per esso un sentimento più caldo dell'affettuosa stima ch'io aveva per Gualfardo. Che, forse, una gran parte di esse avevano amato un altro prima di sposar quello, che se ne ricordavano ancora; eppure non erano meno buone mogli, ed i loro mariti non erano infelici per questo; e nessuno faceva a quelle donne una colpa dei loro sentimenti combattuti; nessuno le disprezzava. Ricordai parecchie signore ch'io conosceva in quelle identiche circostanze; erano signore ammodo, cui il mondo non faceva la menoma eccezione, il menomo rimprovero.
      Allora le mie idee presero un altro indirizzo.
      Certo io ero troppo scrupolosa. Infine mi ero contenuta decorosamente con Max; egli sapeva il mio impegno; tra noi non s'era parlato che d'un sentimento fraterno. Io non avevo tradito i miei doveri verso Gualfardo. Ero ancora degna di lui. D'altra parte, quanti giovani avevo io conosciuti mentre cantavo? Quanti m'avevano corteggiata? Quanti m'avevano parlato con meno riserbo di Max? Io non li avevo lusingati, avevo respinto il loro amore.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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