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      Egli mi reggeva sempre. Come è andata a non scontrarvi a Milano?
      Tutte queste domande mi straziavano il cuore. Rispondevo vagamente, cercando di rassicurarlo, ma vedevo che non potrei ingannarlo a lungo. L'assenza di Gualfardo lo tormentava, ed a me non riesciva di spiegarla.
      Dopo due giorni il babbo era tanto inquieto, che mi obbligò a mandare la serva da Gualfardo per vedere se non fosse malato. Profittai di questa sua idea, e senza mandare, rientrai dopo un tempo conveniente per lasciargli credere che fosse eseguita la sua commissione, e gli dissi, che Gualfardo era a letto con una infreddatura al capo, che sperava di alzarsi presto, ed appena uscirebbe di casa verrebbe da noi. Che del resto il suo male non era grave.
      Il mio povero malato si crucciò tutta notte, vegliò angosciato pensando al suo giovane amico. Io dormivo nella sua camera stesa sopra un sofà senza spogliarmi, per esser pronta ad assisterlo sempre. Lo sentii sospirare, rivoltarsi nel letto, e mi domandò da bere con una frequenza straordinaria. Aveva una febbre violenta.
      Al mattino mi disse:
      - Fulvia, Gualfardo dev'essere malato più seriamente che non dice. Siamo appena in settembre e fa un caldo soffocante. Con un caldo così non si sta letto per un'infreddatura. Manda ancora stamane a vedere come sta. E poi appena sarò alzato prenderemo una carrozza; tu mi accompagnerai, ed andremo a vederlo.
      Non era possibile esporre il povero babbo in quello stato ad una scoperta dolorosa. Andando da Gualfardo lo avremmo trovato fuori, avrebbe compreso d'essere ingannato, avrebbe scoperto la verità, ne sarebbe morto di dolore.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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