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      Corsi nella mia camera e scrissi in fretta questo biglietto, che mandai a Gualfardo:
      - "Il babbo sta male e vi domanda ad ogni momento. Nello stato in cui è ridotto, non posso dirgli perchè non venite più; lo ucciderei. La nostra unione è la sola speranza che lo conforti nei suoi dolori.
      - "Siate generoso, Welfard. Venite per lui. Lasciategli la sua dolce illusione; e quando il vostro ufficio pietoso sarà compito, mi lascierete sola col mio dolore; non mi vedrete mai più, ed io vi benedirò pel bene che avrete fatto al mio povero babbo.
      FULVIA.
      Mandai la serva con quel biglietto; la mandai in carrozza per avere più presto la risposta. L'aspettai in un'angoscia inesprimibile. Omai non mi facevo illusione sullo stato del babbo. La sua vita, la breve vita che gli rimaneva ancora, dipendeva da quella risposta.
      Dopo mezz'ora la serva tornò con un altro biglietto. Lo apersi tremando, ed in quel momento pregai dal fondo del cuore come da gran tempo non avevo pregato. La mia fede era così grande, così vera in quell'ora di dolore, da credere che la mia preghiera potrebbe modificare la risposta di Gualfardo già scritta, già nelle mie mani.
      Non erano che quattro parole: -
      Fra un'ora verrò."
      Misi un grido di gioia, corsi in camera del babbo, e gli dissi:
      - Gualfardo è guarito, sta bene, fra un'ora verrà.
      E lo dissi con tanta gioia, pensando da che pericolo lo salvava quella notizia, che il povero babbo, tratto in inganno, scambiò quel trasporto figliale per un trasporto d'amore, e, sempre preoccupato di me e del mio avvenire, mi abbracciò tutto consolato, e mi disse:


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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