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      Gli si eran gonfiate le gambe, le mani, il volto; omai non usciva più, ed a stento ci riesciva di collocarlo in una poltrona per rifargli il letto. Era una poltrona lunga dove il malato stava disteso; e mentre io accomodavo il letto, Gualfardo apriva le finestre, poi spingeva lentamente la poltrona per far movere il babbo e fargli respirare un po' d'aria.
      Oh! in quel momento mi sarei gettata in ginocchio, avrei baciato i suoi piedi, per implorare che mi lasciasse dedicargli la mia vita. Tutta la mia riconoscenza di figlia si volgeva in amore per lui, tanto generoso, buono, servizievole nella sua apparenza fredda ed elegante. Ed io stupida e leggiera non avevo saputo indovinare quel nobile cuore.
      Intanto il babbo insisteva sempre a pregarci perchè ci sposassimo prima ch'egli morisse.
      Noi ripetevamo che volevamo aspettare che fosse guarito, che per allora non pensavamo che a lui; non volevamo fare un matrimonio nella tristezza; avremmo celebrate insieme le nostre nozze e la sua guarigione.
      Ma egli non s'illudeva sul suo stato, ed un giorno ci disse, quasi piangendo:
      - Perchè non volete darmi questa consolazione? Siete tanto buoni tutti e due, e potete respingere la preghiera d'un moribondo? Fulvia, te lo domando pel bene che ti voglio, pei tormenti che soffro, pel dolore della nostra separazione; Gualfardo, te lo domando in nome di tua madre, nella solennità della morte; datemi questo conforto, questo pensiero di pace. Che vi veda uniti, che possa dire: lascio a mia figlia l'amore e l'appoggio del più nobile degli uomini, ed allora morrò contento.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





Gualfardo Gualfardo Fulvia