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      No; non lo direte; sarà il caso, sarà la fortuna che ringrazierete; ma non importa, io vi vedrò contenti, ed il mio spirito esulterà. Allora non sarete più imbarazzati come ora dinanzi a me. Vi crederete soli, e non assumerete quell'aria freddamente cerimoniosa; io potrò udire le vostre parole d'amore; pormi tra i vostri sguardi per leggerne l'espressione passionata; contare i vostri baci, misurare e risentire la vostra felicità.
      Tutto codesto diceva colla sicurezza della sua fede robusta; e lo diceva sorridendo per consolarci nel nostro dolore. Quando Gualfardo si mostrava un po' espansivo con me, il povero malato dimenticava ogni sofferenza, ed era contento; non avea vissuto che per me, e credendomi felice non sentiva di morire.
      Era una strana situazione. Sapevo che Gualfardo non mi amava più, nè mi amerebbe più mai.
      So tutto" m'aveva detto, quando avevo voluto confessargli il mio amore per Max, "so tutto." Ma non era vero. Egli poteva avermi veduta all'albergo, stare alla finestra con Max. E quando dopo tali apparenze accusatrici, mi diceva: "So tutto" doveva credermi più colpevole che non fossi.
      No, non sapeva tutto. Non sapeva che Max aveva avuta tanta generosità, tanta poesia giovanile nel cuore, da rispettare, nella donna che amava, la fidanzata d'un altro. Non sapeva che, leggiera, incostante, compromessa, in quell'ora stessa che mi credevo obbligata a rendergli la sua parola, a scindere il nostro impegno, ero ancora onesta e degna di lui.
      No; non sapeva tutto questo, ed io dovevo nascondere il mio amore per lui, possentemente ravvivato da quel ravvicinamento, da quella comunanza d'affetti e di dolori, dalle nobili manifestazioni dei suoi sentimenti; dovevo nasconderlo perchè sapevo che non troverebbe mai più la via del suo cuore.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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