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      Di là era partita per la sua ascensione funesta. Là potrei immancabilmente sapere le circostanze dolorose della sua fine.
      Corsi a casa per prendere del denaro.
      La cameriera era alzata.
      - La signora è inquieta, mi disse. S'è coricata, ma non volle dormire finchè ella fosse tornato.
      In quel momento ero col pensiero a centomila leghe da mia moglie. Non mi sentivo in istato di sopportarne la presenza, che non mancherebbe di essere accompagnata da un importuno interrogatorio. Risposi alla cameriera:
      - Dille che un affare urgentissimo m'ha trattenuto fuori finora, e che debbo uscir subito ancora, perchè sono aspettato da un mio cliente. Che vado in campagna con lui per esaminare dei documenti, e resterò fuori alcuni giorni.
      Ed entrai nel mio studio, presi del denaro in fretta, e senza portar meco neppur un goletto, uscii di nuovo.
      - Max! mi gridò mia moglie dal suo letto udendomi passare nel corridoio.
      Nel lampo d'un pensiero comparai la Fulvia passionata ed entusiasta a quella comoda moglie che si limitava a chiamarmi dalle sue tepide lenzuola, senza che l'annuncio della mia partenza le desse la forza d'infilare le pianelle. Ed il cadavere gelato fra i crepacci del Monte Bianco mi parve meno freddo di mia moglie. Tuttavia entrai, la baciai in fretta e le dissi:
      - Mi tocca partire; non moverti, potresti infreddarti, addio.
      E via a precipizio.
      Partii col primo treno. Mi cacciai in un angolo del convoglio e rilessi tutto il manoscritto di Fulvia, senza risentire più il menomo senso di amarezza o di risentimento.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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