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      In quella sorpresa di gioia e d'amore il mio cuore lungamente oppresso si era sciolto, ed avevo pianto come la più miserabile delle donne. Era un pianto dolcissimo che mi faceva tanto bene. Non avevo detto una parola per interrompere il mesto racconto del mio bel Gualfardo. Lo ascoltavo, inebriata e felice di essere amata così; profondamente addolorata di averlo tanto male giudicato e compreso. Soltanto a quell'ultima soave preghiera esclamai tra i singhiozzi:
      - Oh! Gualfardo, io non sono degna di te.
      - Non dirlo, cara, riprese colla sua generosa bontà. Tu mi hai giudicato per quello che mi mostrai. Avevi ragione, povera Fulvia. Tu eri ardente come il tuo bel sole d'Italia, ed io ero tedesco come un soldatino di piombo. - È vero; ho avuto torto; non ho saputo adattarmi al tuo carattere, alle tue aspirazioni; ma, credilo, ti amavo con tutta l'anima. Dimmi che mi perdoni!
      I miei compagni di viaggio, chiamati dalle guide, si destarono, scesero dai loro materassi, e si disposero alla gran salita. Quanto a me, che m'importava omai del Monte Bianco, e di tutti i ghiacciai della terra? Quel ghiaccio che mi aveva pesato sul cuore, che m'aveva resa infelice e colpevole, era sciolto. La vita mi sorrideva come una promessa d'amore. Ero felice. Che potevo cercare più in alto?
      Ridiscesi colla gioia nell'anima quel tratto di monte che avevo salito in tanta desolazione. Con che spavento trattenni fin il respiro nel passaggio della congiunzione, quando le guide raccomandarono il silenzio, perchè anche il più lieve spostamento d'aria prodotto da un suono potrebbe staccare un masso di ghiaccio, una valanga, e seppellirvi il nostro avvenire, il nostro amore, la nostra felicità!


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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