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      La città era fortissima e popolata di pro' gente, e dal lato del monte avea una forteza, e tagliato il poggio: la via non potea esser loro tolta d'andare a quella forteza; la città era forte a conbatterla. Quivi si stette un giorno, pensando assalirla di verso la Magna; però che avutala, la città era vinta.
     
      Messer Tibaldo, volendo soccorrere, andò là; e, per giustizia di Dio, il cavallo incespicò e cadde: e fu preso, e menato allo Imperadore, della cui presura molto si rallegrò. E fattolo esaminare, in su uno cuoio di bue il fe' strascinare intorno alla città, e poi li fe' tagliare la testa, e il busto squartare. E gli altri presi fece impiccare.
     
      Così incrudelirono quelli dentro inverso quelli di fuori: ché quando ne pigliavano uno, lo ponieno su' merli, acciò fusse veduto; e ivi lo scorticavano, e grande iniquità mostravano: e se presi erano di quelli dentro, erano da quelli di fuori impiccati. E così, con edificii e balestra, dentro e di fuori, guerreggiavano forte l'uno l'altro. La città non si potea tanto strignere con assedio, che spie non v'entrassono mandate da' Fiorentini, i quali con lettere gli confortavano, e mandavano danari.
     
      Un giorno messer Gallerano, fratello dello Imperadore, grande di persona, bello del corpo, cavalcava intorno alla terra per vederla, sanza elmo in testa, in uno giubbetto vermiglio. Il quale fu fedito d'un quadrello sul collo, per modo che pochi dì ne visse: acconcioronlo alla guisa de' signori, e a Verona fu portato, e quivi fu onorato di sepultura.


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Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi
di Dino Compagni
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