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      Poi, quando ella finiva, le batteva le mani: la ragazza trasaliva, come riscossa da un sogno; si levava e correva a buttargli le braccia al collo e a baciarlo, ancora tutta vibrante di commozione.
      Anche Paolo, che era un elegante pianista, qualche volta suonava, specialmente la sera. Ma, ahimè! quelle belle fantasie del Mendelssohn, quelle belle mazurche sentimentali dello Chopin. Quelle belle rapsodie del Liszt, quelle gavotte, quelle fughe, tutta quella musica, così alta e sottile, non faceva che infastidire la bizzarra creatura, la quale, dopo le prime battute, gli si aggrappava al braccio per farlo smettere, e gli diceva piagnucolando:
      - No, non voglio. Es feo!
      Brutto! era brutto! Paolo, educato fin dall'infanzia a sentire levare alle stelle quella musica meravigliosa, si cacciava le mani fra i capelli, ridendo, e fuggiva. Lei per un po' se ne aveva a male, e faceva il broncio; ma si rabboniva poi subito, rideva lei pure e batteva le mani come una bambina, se Paolo, per contentarla, tornava al piano e intonava qualche facile e briosa canzone napoletana.
      La sola amarezza di Leona, in quei giorni della sua luna di miele, era il piglio insolente con cui si vedeva trattata dal cameriere. Con la Marianna, una napoletana bonacciona, sempre allegra e cordiale, un po' troppo confidenziale, ma insinuante e devota, tanto quanto se la diceva; ma Domenico, un romano serio e impettito, con un eterno sogghigno di compatimento superiore sulle labbra rase, gli dava sui nervi. Per vendicarsi, Leona lo strapazzava tutto il giorno; lo faceva correre qua e là con un pretesto o con l'altro; gli faceva ridiscendere cento volte le scale, poi, per giunta, gli faceva delle partacce che non finivano mai.


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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania
1901 pagine 167

   





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