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      Il cameriere se ne lamentava da solo a solo con il signor conte, assai rispettosamente, perché sapeva che quello era un signore davvero. Paolo stava a sentire, un po' urtato da quei pettegolezzi, poi cercava di rabbonirlo, lo lodava del suo servizio, prometteva di pregar la "signora contessa" (Domenico faceva un risolino sottile sottile) che gli si volesse mostrare un po' più indulgente.
      Ma quando gliene parlava davvero, era una casa del diavolo, Leona, benché docile e affettuosa con il suo amante, non aveva punto lasciata la violenza della sua natura: e non le pareva di doversi frenare con gli altri come si frenava, senza sforzo, a volte, con Paolo. Sicché, soltanto a ricordarle quel "pillo" come ella qualificava Domenico c'era da farla uscire dai gangheri, proprio! Allora poi non guardava più in faccia a nessuno, e se l'amante non smetteva subito, correva il rischio di sentirsi trattare lui pure di tutti i nomi.
      Paolo non voleva far dispiacere all'amica; ma d'altra parte era assai seccato di codesti fracassi. Se c'era qualcosa che gli riuscisse intollerabile, era l'idea che nel vicinato si parlasse di lui e della sua donna: ora egli sapeva bene che tra l'espansiva loquacità di Marianna e la rabbiosa maldicenza di Domenico, presto l'intero rione sarebbe stato pieno dei fatti suoi.
      Altro rimedio non c'era contro tale pericolo, che il mandar via Domenico. Ma il conte temeva, a ragione, che il cameriere sarebbe andato a sfogarsi con il Paganica che glielo aveva dato per un servitore modello: e al suo amico, meno che agli altri, egli avrebbe voluto far sapere le cose di casa sua.


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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania
1901 pagine 167

   





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