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      Era una mite e odorosa sera d'aprile. La luna piena bagnava i cieli di un chiaror bianco e sottile: un singhiozzare lento di flutti veniva, con un fresco effluvio di alghe e di fiori, da Santa Lucia.
      - Ebbene, che siete venuto a fare qui, voi? - domandò bruscamente la giovane.
      - Mio Dio, sono venuto ad adorarvi, come fanno tutti, del resto - rispose Gabriele, accennando con la testa le sale rumoreggianti.
      - Nada de eso - replicò Leona con una smorfia di malcontento. Poi ripigliò piano, così piano che la sua voce debole sembrava il soffio di uno strumento armonioso:
      - Perché siete diventato così cattivo con me? Eppure mi eravate amico, a Roma, Gabriele!
      Il Caligaris fu scosso da quelle parole, da quell'accento che rivelava un'angoscia profonda, nobilmente dissimulata. Dopo qualche esitazione rispose, lasciando il tono solito di garbata ironia:
      - Vi sono amico anche adesso, Leona; credetelo.
      - Se mi siete amico, ditemi che siete venuto a fare qui - insistette Leona.
      - Questo non ve lo posso dire, per ora.
      La ragazza gli levò in faccia gli occhi larghi e neri come l'inchiostro; poi abbassò la testa, senza più replicare. A sua volta, Gabriele la guardò, e vide due grosse lacrime, nel chiarore gelido della luna, solcarle lentamente le guance. Le prese la mano e le domandò, con voce commossa:
      - Ma voi dunque l'amate molto quell'uomo?
      - Sì, molto - ella rispose semplicemente.
      - Povera creatura! - mormorò lo scettico, stringendo quella piccola mano che si abbandonava fredda in quella di lui.
      Dell'altra gente veniva sulla terrazza.


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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania
1901 pagine 167

   





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