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      Ma Paolo aveva altro per la testa. Lontano da Leona, attorno a cui cresceva ogni momento la rumorosa allegria dei giovani più noti per le loro abitudini di lusso e di galanteria, egli si sentiva solo, dimenticato; e provava un'invidia segreta per coloro che si trovavano nelle grazie della sua amante dell'anno avanti, un sentimento angoscioso di averla lasciata partire, di averla quasi buttata nelle braccia di un altro. La guardava spesso, senza riuscire mai a incontrare gli occhi di lei; e alla vista di quella bellezza così fresca, così fiorente, così originale, non sapeva capacitarsi come avesse potuto stancarsene. Anche l'umiliava alquanto il pensiero di non averle potuto mai procurare il lusso in cui ella adesso viveva; e dava a se stesso la colpa di averle fatto conoscere questo nuovo genere di vita, al cui confronto non poteva certo guadagnarci quello, assai più modesto, che egli le aveva potuto offrire e permettere. Ma quello che gli pareva più strano, era che egli non sentiva di desiderarla: avrebbe voluto soltanto che ella dimostrasse per lui almeno tanta premura quanta ne dimostrava per il capitano Mineo, per Ozanil, per Sant'Elmo, per tutti quegli altri che ora, a pranzo finito, le si affollavano dattorno.
      Un momento pensò di alzarsi egli pure come gli altri, e di andare vicino a lei. Ma che cosa le avrebbe detto? Tutta la leggerezza del suo spirito lo aveva abbandonato, e non si sentiva di sciorinarle delle celie un po' libere, come facevano gli altri; avrebbe voluto parlarle a lungo seriamente e intimamente, e ciò non si poteva in quel luogo, davanti a quella gente, senza diventare supremamente ridicolo.


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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania
1901 pagine 167

   





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