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      Improvvisamente un fruscio di abiti si udì dietro l'alta portiera, e Leona apparve. Portava una veste da camera di raso nero, larga e ondeggiante; una sciarpa marocchina, graziosamente avvolta, come un turbante, sulla testa, le inquadrava il puro ovale del viso ove i grandi occhi splendevano come due neri diamanti.
      - Buona sera, Paolo - disse ella, mentre il giovane conte si levava per salutarla - è un pezzo che aspettate?
      - Un secolo! - rispose lui, cercando di guardarla bene negli occhi, perché la stanza si era fatta già buia. Le fiamme dei due narghilè scintillavano in fondo alla stanza come due rubini ardenti.
      - A momenti portano i lumi; sedete! - soggiunse Leona, lasciandosi cadere sulla pelle di pantera nera che copriva a mezzo il divano.
      - Oh no, non fate portare i lumi! è così dolce quest'ombra! - sospirò Paolo.
      Uno scroscio di risa argentine squillò dalla parte del divano. La voce di Leona riprese:
      - Come siete diventato sentimentale, da che non ci siamo visti!
      In quel momento la cameriera entrò reggendo un candelabro, dove cinque candele colore di rosa ardevano appena accese. Leona le disse:
      - Avvicina quel narghilè, e porta dei dolci e dei liquori.
      La cameriera obbedì. Leona svolse il lungo tubo pieghevole del narghilè e, accostatosi il lungo bocchino d'ambra alle labbra, cominciò ad aspirare il fumo odoroso del tabacco. Quel trattamento alla turca era una bizzarria di Leona, la quale odiando il tè, non aveva mai acconsentito a farne servire in casa propria.
      - Prendete un biscotto, una chicca, qualcosa - disse Leona, mentre la cameriera posava sul gran piatto arabo un vassoio pieno di dolci e delle bottiglie.


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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania
1901 pagine 167

   





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