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      Bastava guardargli le mani, delle lunghe mani morbide e bianche, dalle dita affusolate, come quelle di una badessa, dalle unghie rosee accuratamente affilate, per comprendere a prima vista il carattere molle, lusinghevole e indifferente del signore veneziano. Qualche volta egli aveva creduto di amare, per un delirio della fantasia o per un ardore momentaneo delle vene; ma ingenuamente e pienamente non aveva amato mai. Cercava la donna per procurarsi un godimento, qualche volta dei sensi, qualche volta dell'amor proprio: non appena il suo amore richiedesse il più piccolo sacrifizio, egli lo gettava via da sé, come un peso intollerabile.
      Da quella sera, Paolo ricominciò a praticare con Leona tutte le sue lusinghe di gattino viziato, tutte le sue lezie di bambino che ha bisogno di essere carezzato e ninnato. E la povera donna si lasciava attrarre, come la prima volta, a quell'apparenza di candore e di gentile monelleria: non ricordava o non voleva ricordare le disillusioni provate a Napoli; trovava una scusa alle cattiverie passate del suo piccolo amico, beata di vedere tornato il dolce tempo quando ella aveva aperto il suo cuore all'amore. Ora Paolo era sempre tra le gonnelle di Leona: andavano insieme ai teatri, facevano delle passeggiate in campagna, giravano per le ville: la voce era corsa; e Paolo si sentiva solleticato nell'amor proprio dall'invidia di tutti coloro che aspiravano invano alle grazie della bizzarra spagnola; quanto a Gabriele Caligaris, sorrideva scetticamente di quel nuovo idillio, senza mostrarsi né offeso, né indispettito: pareva che quel singolare gentiluomo si godesse una bella commedia preparata apposta per lui.


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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania
1901 pagine 167

   





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