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      Leona si sentì venire la voglia di fare delle scampagnate. Appena l'aria cominciava a farsi più calda, uscivano entrambi gli amanti fuori da una porta della città, dove la carrozza rimaneva ad aspettarli, e si gettavano nei campi, a braccetto, come due monelli scappati dal collegio. Leona, tutta rosea sotto le falde del cappellino di paglia ornato di fiori, correva per i viottoli, raccoglieva le viole pei campi, si arrampicava sulle colline, costeggiava il fiume che, largo e giallo, scintillava ai raggi del sole. Poi entravano, ebbri di sale e di baci, in un'osteria di Ponte Molle o di Ponte Nomentano, e facevano colazione con una frittata, un pezzo di cacio pecorino e due frutta. Ma Leona era così allegra, così spensierata, che ingrassava a vista d'occhio; e giurava, che non aveva mangiato mai così bene come in quei giorni. Paolo la stava ad ascoltare, un po' più serio, un po' più freddo, sorridendo pacatamente, badando a ripulire bene con il tovagliolo le posate di stagno dell'osteria romanesca.
      Una volta andarono fuori di porta San Sebastiano, verso la tomba di Cecilia Metella. Era una limpida e luminosa mattinata di aprile; l'aria, il cielo, gli alberi in lontananza, tutto pareva irradiarsi quasi di una trasparenza luminosa e leggera, entro la quale le forme ondeggiavano lentamente, un po' velate, come entro un mare non distinguibile che avvolgesse e cullasse ogni cosa. Le vie, le piazze erano popolate di gente che andava o veniva allegramente; gli abbaini delle case, le cupole delle chiese, le guglie dei campanili, i vetri delle finestre mandavano lampi: dappertutto si udiva un cinguettio lieto e confuso di passeri.


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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania
1901 pagine 167

   





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