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      Paolo diceva tutto, narrava tutto, con una certa circospezione, scegliendo le parole e mostrando di avere riguardo al pudore delle sue amiche: le quali, dovendo così lavorare un po' con la propria immaginazione, si accendevano ancor più in quella vaga atmosfera di peccato che respiravano appena.
      Il Cappello vedeva passare nei loro occhi, a quei racconti, certe fiamme di buon augurio; e, sorridendo enimmaticamente, seguitava, seguitava lungamente, freddamente, a distillare il suo veleno, sapendo di compiere un'opera di corruzione che ogni giorno più legava Margherita alla sorte di lui. Egli era divenuto, peraltro, di una pazienza meravigliosa; benché irritato ed eccitato talvolta egli stesso da quei discorsi, sapeva padroneggiarsi e non precipitare nulla; ma il suo occhio che guatava in quei momenti la ricca nipote del banchiere, aveva qualcosa come il fascino che si sprigiona dall'occhio del serpente che attira l'uccello posato sull'albero.
      Ma se Paolo non abusava della fiducia che le sue alunne gli dimostravano, egli sapeva avvantaggiarsi di quella specie di viziosa complicità per osare ogni giorno di più, senza che loro potessero ormai aversene a male. Del resto, le sciagurate ne ridevano. Paolo aveva l'aspetto tanto delicato, che pareva quasi una donna, così gracile e imberbe com'era, con quei suoi dolci occhi azzurri e quel sorriso sottile. E con lui le due amiche non provavano alcuna soggezione: a furia di ciarlare con lui, come avrebbero fatto con una loro compagna, dimenticavano il sesso, e si lasciavano andare.


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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania
1901 pagine 167

   





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