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      In quella lettera, Pietro Leopoldo, per dimostrare l'imbarazzo in cui si trovava non sapendo come fare a trattenere ed a svagare i granduchi di Russia, che avevan deciso di venire a Firenze, diceva che quivi, dal più al meno, alla meglio o alla peggio tutti intendevano il francese, press'a poco come i camerieri di locanda; ma che non si sarebbero trovate cinque signore che l'avessero parlato speditamente. Era una cosa che faceva loro molto onore!
      Se alcune persone istruite vi erano - scriveva sempre Pietro Leopoldo - e con le quali la granduchessa di Russia, era persuaso, si sarebbe trattenuta con piacere, era tra gli impiegati. Ma l'imbarazzo maggiore per il Granduca Pietro Leopoldo era quello che nessuna signora, anche nobile, sapeva ballare!
      Per conseguenza, c'è da figurarsi come deve aver ricevuto con piacere l'avviso da Pietroburgo che i principi russi sarebbero venuti a Firenze, giacché non poteva offrir loro nemmeno un ballo.
      E se volle levarsela pulita senza farsi scorger per se, ne fare scomparire, come si sarebbero meritato, le dame, ebbe a ricorrere al ripiego di dare delle conversazioni "senza cerimoniale" facendo - come si dice oggi - un po' di musica, come in qualunque casa di modesti botteganti riverniciati a nuovo, o di appaltatori arricchiti che si sforzano, ma inutilmente, di passare per signori.
      Col ripiego dunque della conversazione alla casalinga, dove si giuocava in varie stanze perché non "c'erano formalità" e coi balli al teatro, tanto per far passar loro la serata, senza nemmeno una società abbastanza distinta, Pietro Leopoldo si disimpegnò coi Granduchi di Russia che andaron via contenti come pasque.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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