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      Le fece meno caso il condono di certe pene ai detenuti perché quelle non costavan nulla! Forse, abituata alla folla lacera e scalza di Napoli, a quelle buie strade con le case altissime, piene di cenci tesi a tutti i piani, con molte delle vie che parevano immondezzai, come allora era la città così trascurata dai Borboni, parve alla nuova Granduchessa una cosa straordinaria il vedere a Firenze anche la gente del popolo vestita pulita e con le scarpe, le case linde e con le persiane.
      Nella sua giovane mente, e con la educazione tutta borbonica che aveva ricevuto, le pareva che il popolo non dovesse essere che miserabile, stracciato, sudicio e scalzo; ed abitare, come cosa naturale, in sozze catapecchie, in oscuri antri, insieme alle bestie visibili e preda di altre invisibili!
      Perciò sul principio invece di ritrarre un'impressione favorevole dalla gentilezza, dalla civiltà, dalla pulizia e dalla eleganza fiorentina, ne provò quasi dispetto. Ed essa non lo nascondeva: poiché quando le pervenivano da persone bisognose, delle suppliche implorando dalla sua munificenza un sussidio, ella sdegnosamente rispondeva coi suo accento napoletano: "In Firenze non ce stanno poveri."
      Per conseguenza nei primi tempi, coi fiorentini non ci ebbe gran sangue; ed il popolo, per dir la verità, passati i primi entusiasmi, la ricambiava cordialmente. A poco a poco però, per mezzo delle dame che Leopoldo ebbe l'accortezza di metterle d'intorno, si affiatò un po' più; ma ci volle del tempo prima di abituarla a seguire le tradizioni di famiglia, facendo qualche elemosina ed avendo i suoi beneficati particolari.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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