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      Fra le tintorie più rinomate portavano il vanto quelle Guerrini, Bonini e Querci; ed eran tenute in assai pregio per tingere di nero e di scarlatto, tanto le stoffe di seta che di lana. Per lo scarlatto era superiore a tutti la tintoria Querci, alla quale la Repubblica assegnò perfino una pensione annua di diversi fiorini, che le fu mantenuta fino al I700.
      Le tintorie fiorentine avevano grandi commissioni dal Levante, dove i nostri mercanti facevano continue spedizioni dei tessuti di seta, operati, a fiorami e damascati, e dei panni di lana nei quali consisteva l'industria di Firenze, che era però di già agli estremi ma che fino allora per la città era una ricchezza; ed una brava tessitora, quando rimetteva al fabbricante ogni mese una tela, riscuoteva per lo meno dieci o dodici scudi. È facile immaginare perciò quanto fosse l'agiatezza anche in molte famiglie del basso Popolo, le donne del quale la festa facevano grande sfoggio di gioie, di orecchini o buccole - come le chiamavano - e di vezzi di perle di molto valore.
      Le Stinche mettevano malinconia al solo vederle: perciò ingentiliti i costumi, e desiderosa la cittadinanza di toglier di mezzo quello sconcio, il granduca Leopoldo II, che per verità ebbe sempre passione di abbellire Firenze ed accrescerne le comodità ,con decreto del 15 agosto 1835 sanzionando le trattative già in corso fin dal 1833 ne ordinò la vendita, perché venissero destinate ad usi privati e più decorosi.
      Acquistarono quel locale di trista fama i signori Giovacchino Faldi, Cosimo Canovetti, Giuseppe Galletti e Michele Massai, i quali in seguito lo rivenderono a Girolamo Pagliano, cantante, dopo ch'ebbe abbandonate le scene per dedicarsi allo smercio del suo fortunato sciroppo, che ha purgato mezza Europa.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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