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      Al tocco tutti tornavano a desinare, e le botteghe fino alle tre non si riaprivano. Il pasto frugale si componeva generalmente di minestra e lesso, e le feste il piatto preferito era la coratella nel tegame, il fegato con l'uova, il pollo nella bastardella, o l'agnello. Per carnevale era in gran voga il lombo di maiale arrosto, e i ragazzi giravan lo spiede con lo spago, facendo a gara a chi toccava quell'incarico, che spesso dalle mamme si concedeva al più buono, come un premio. La sera si cenava verso le otto tanto d'estate che d'inverno; ma si aspettava il capo di casa che tornasse da bottega, portando per lo più l'affettato, cioè salame o presciutto o più comunemente la mortadella, che si diceva anche finocchiona, ed era l'insaccato più economico. Nella quaresima si mangiava il caviale che allora lo davano a fette ed era squisito; oppure le aringhe, o i fichi secchi, le noci, e le mele secche: insomma tutto ciò che poteva esservi da spender poco e da far companatico.
      Il vino a que' beati tempi costava quattro o cinque crazie il fiasco e se era vecchio, sette crazie - cinquanta centesimi! - Quando s'arrivava alla raccolta, se l'annata era stata abbondante non costava quasi nulla. Tant'è vero, che vi furono delle annate eccezionali in cui la gente andava ai conventi delle monache di Santa Maria Maddalena, del Maglio, di Santa Verdiana e ad altri, con certi fiaschi che parevan barili, e glieli empivano per una crazia, cioè sette quattrini - dieci centesimi - e molto spesso la buona monachina regalava una mela alla bambina o al ragazzo che andava a prendere il vino.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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