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      Oltre ai ciechi, in ogni strada, era un continuo gridare ora d'ortolani, ora di fruttaioli che avevano i loro avventori fissi e si fermavano tutti i giorni alle medesime case; oppure di cenciaioli che dalla mattina alla sera giravan per tutta Firenze urlando: Donne chi ha cenci!... sprangai che accomodavan gli ombrelli e sprangavano i catini e le stoviglie rotte; seggiolai che rimpagliavan le seggiole sfondate in mezzo alla strada come se fossero stati nella propria bottega, arrotini e altre infinità di mestieri.
      Fuori delle botteghe si vedeva il fornello del sarto coi ferri a scaldare, il ragazzo del legnaiolo che accendeva i trucioli per scaldar la colla, il tappezziere che impuntiva i sacconi o le materasse, se non le ribatteva addirittura sullo scamato, i fiascai che rivestivano i fiaschi, il ciabattino a bischetto che rattoppava le scarpe e via dicendo.
      Quelli delle botteghe parevan tutti d'una famiglia, tant'era la buon'armonia e l'amicizia che regnava fra i varii mestieranti.
      Una strada talvolta pareva una sala di conversazione; perché ogni mattina quando si aprivan le botteghe tutti si davano il buon giorno e ognuno aveva qualche cosa da raccontare, qualche novità da dare o da dir qualche barzelletta: spesso si udivano delle risate proprio da cuor contenti. Si dicevano quello che avevan mangiato per cena, dove avevan passato la serata e quindi ciascuno accudiva al proprio lavoro ed ai propri affari fino all'ora del desinare, in cui non si chiudeva, ma si accostavan le bande sicuri che nessuno si sarebbe azzardato a entrarvi, e alle tre si riapriva.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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