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      Il popolo allora trasmodò. Se i nobili facevano quella sconcezza e si mostravano così poco civili, la plebe sentiva il bisogno di esser da più. E difatti molti popolani, di carnevale, desideravan più le giornate piovose che il bel tempo; perché, a modo loro, si divertivan di più. Invece del pallone portavan certi mazzi di cenci che strofinavano nelle pozze e nei rigagnoli; li battevano nel viso alla gente ed entravano a frotte nelle botteghe insozzando ogni cosa, completando così il danno cominciato dai nobili col pallone. Non è da credersi il numero delle bastonature e delle pugnalate che ne erano la conseguenza!
      E come se ciò non bastasse, si volle esagerare fino in fondo.
      Quando quegli scapestrati cominciavano a prender di mira qualcuno, a furia di pallonate o di quei cenciacci sudici, lo rincorrevano perfino in chiesa e sulle predelle degli altari, dove tanti disgraziati si rifugiavano, credendo d'esser salvi almeno nella casa di Dio, nella quale eran salvi gli assassini e i ladri, quand'erano a tempo ad entrarvi dopo commesso un delitto, e prima che i birri gli agguantassero.
      Bisognava vedere come eran ridotti quegli infelici, specialmente le donne, che venivano perseguitate più degli uomini! Facevan rivoltare lo stomaco col viso lercio di mota, da non capir più a che specie appartenessero.
      Da questa usanza, che in principio non era che una burla, degenerata poi in una vera sudiceria, nacque l'odio atroce fra gli Strozzi ed i Medici.
      Nel 1534 alcuni della famiglia Strozzi insieme ad altri cittadini uscirono, nel carnevale s'intende, seguitando l'uso del pallone, con quella licenza delle pallonate fangose tirate nelle botteghe di Mercato Nuovo.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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