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      V'era poi chi non se ne faceva né qua né là e si staccava la scala buttandola via; ma vi erano anche le sospettose, le permalose, che procedevan guardinghe voltandosi indietro ad ogni passo; e per evitare un guaio talvolta andavano incontro a un altro, inciampando nelle persone che davan loro di smelensite, perché camminavano con la testa voltata indietro, o facendo appena in tempo a scansarsi da una carrozza o da un baroccio. Ma eran tutte precauzioni inutili, perché prima o poi la scala gliel'attaccavano. E allora il coraggioso che era stato più abile, si sentiva appioppare un'ombrellata o un ceffone, e le fischiate e le risate eran più clamorose che mai. Quelle che non facevano in tempo a colpire, minacciavano con la mano i birichini che ne dicevan loro di quelle senza babbo né mamma, facendo gesti d'ogni specie.
      Questa della scala di mezza quaresima è forse l'usanza che ha conservato più il suo carattere, a motivo dei monelli che a Firenze si mantengon sempre veri e legittimi come gli antichi.
      Basta sentirli aprir bocca!
      Un altro giorno caratteristico della quaresima era il giovedì santo, a cominciare dal quale le truppe fino al mezzodì del sabato santo, andavano coi tamburi scordati e coi fucili voltati a terra. La mattina, il Granduca con la Corte andava a render "l'obbedienza alla Chiesa" nella Cappella de' Pitti; la messa la celebrava il confessore del Sovrano, e dopo "la consumazione del sacerdote" questi comunicava prima il Granduca, le Granduchesse, l'Arciduchessa, le dame, i ciambellani, le cariche di Corte, i consiglieri, i paggi e i precettori.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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